Più alberi in città per combattere la crisi climatica

L’Istituto di Biometeorologia del Cnr stila una lista delle migliori piante da utilizzare. E Bologna mette in pratica le sue indicazioni

Per risolvere il problema dell’inquinamento urbano non serve solamente ridurre il traffico di auto, moto e autobus diesel. C’è un altro elemento determinante: la quantità di superficie dedicata agli spazi verdi urbani. Puntare sul ruolo degli alberi in città aiuta a migliorare la qualità dell’aria a livello locale e a lottare contro la crisi climatica.

Le piante migliori

Ma non tutte le specie arboree si adattano a tutti i climi. A redigere una sorta di lista, messa a punto nel 2017, è stato l’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Bologna, guidato da Rita Baraldi. “Questo studio nasce da un progetto europeo Life+ in collaborazione con il Comune di Bologna. Per capire quali fossero le migliori piante da utilizzare in città”, spiega Baraldi. Per ogni specie arborea è stata calcolata, in un ciclo di vita lungo 30 anni, la capacità di assorbimento della CO2; la capacità di catturare elementi inquinanti come benzene, ossidi di azoto, diossina e molte altre sostanze attraverso la cuticola e i peli fogliari.

Il Comune di Bologna ha voluto dare subito seguito alle indicazioni emerse dallo studio. Rispetto all’ultimo censimento della primavera 2016, che rilevava in città circa 79 mila esemplari, nel 2018 sono stati censiti oltre 83 mila alberi (120 mila se si includono le macchie boschive), con un incremento di circa 4 mila unità negli ultimi due anni. Il risultato, reso noto la scorsa primavera, è stato raggiunto attraverso un’attenta manutenzione del verde pubblico e grazie alla capacità di dare corso a una progressiva azione di sostituzione puntuale e di rinnovo di intere alberate composte da piante malate e a fine ciclo di vita con esemplari più adatti e resilienti, in grado di assorbire meglio le sostanze inquinanti.

Per catturare polveri sottili e CO2

La scelta delle specie botaniche impiegate, non solamente autoctone, è stata fatta sia in funzione del valore estetico, sia per la capacità delle varie specie di catturare polveri sottili e CO2. Applicando le ricerche scientifiche svolte nell’ambito del progetto europeo – di cui il Comune di Bologna era assegnatario in collaborazione con Cnr e Ibimet – è stato possibile definire l’efficacia delle differenti specie botaniche, in modo da orientare correttamente le scelte agronomiche.

“Abbiamo classificato le piante in base all’accumulo di CO2, ovvero più di 2 tonnellate in 30 anni. E all’interno di queste categorie abbiamo realizzato altre classificazioni per quanto riguarda la mitigazione degli inquinanti e del particolato”, spiega Baraldi. Ne è scaturita una lista indicativa, da prendere come spunto sia per le amministrazioni pubbliche, che per i cittadini.

Per esempio il bagolaro (Celtis australis), è una pianta dal rapido accrescimento, che può arrivare fino ai 20-25 metri di altezza. Presenta una capacità particolarmente sviluppata di immagazzinare il biossido di carbonio (3.660 kg in 20 anni) e di catturare e assorbire altri inquinanti. L’olmo comune (Ulmus minor), altro grande albero che può raggiungere i 30 metri di altezza, riesce a trasformare in biomassa migliaia di chilogrammi di CO2. Con una potenzialità di assorbimento degli inquinanti medio alta. Il frassino comune (Fraxinus excelsior), grande albero deciduo che può superare i 30 metri di altezza, è capace di immagazzinare più di 3 tonnellate di CO2 in 30 anni. L’acero riccio (Acer platanoides) assorbe quasi 5 tonnellate di CO2 in 30 anni.

In allegato la scheda dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr