La moda si converte al riciclo

Il settore dell’abbigliamento è al secondo posto in termini di impatto ambientale, consumo di risorse e inquinamento. Ma sono sempre di più i brand che propongono iniziative di riciclo degli abiti usati.

Nel 1960 ogni abitante della Terra consumava circa 5 chili di fibre tessili l’anno, salite a 8 chili nel 2000 e a 13 nel 2015. Un consumo trainato – nei Paesi sviluppati – dal fast fashion che spinge all’acquisto sempre più frequente accelerando i cicli di obsolescenza degli abiti, ma anche dovuto alla crescita di reddito e quindi della domanda di abbigliamento che si verifica nelle economie in via di sviluppo. Basti pensare alla Cina dove questo consumo è quadruplicato tra il 2002 e il 2015.

Il che significa ritrovarsi con una quantità enorme di rifiuti tessili che finiscono entro un anno dall’acquisto in stragrande maggioranza (quasi l’80% secondo alcune stime) nelle discariche o negli inceneritori.  Con pesanti ricadute ambientali legate non solo alla gestione di questi scarti, ma anche al fatto che spesso questi abiti sono realizzati con materiali sintetici che si degradano molto lentamente e rilasciano sostanze inquinanti. Senza contare le risorse naturali consumate e gli impatti ambientali prodotti. Un dato per tutti: per ottenere un singolo paio di jeans ci vogliono tra i 7 mila e i 10 mila litri di acqua.

Riuso e riciclo sono due parole chiave per arginare il problema dei rifiuti dell’abbigliamento. E sono sempre di più i brand che iniziano a proporre campagne di raccolta di prodotti dismessi con l’obiettivo di recuperarne le fibre e dar vita a nuovi abiti.

Tra questi Falconeri – marchio specializzato in abbigliamento in filati pregiati – che da alcune settimane ha dato il via a ReGeneration Cashmere, una campagna di riciclo attiva in Italia e all’estero. In pratica i clienti potranno riportare nei negozi abiti dismessi in cashmere e misto cashmere che diventeranno materia prima seconda per realizzare una coperta “limited edition”.  In cambio il cliente avrà diritto a un buono sconto, e parteciperà in prima persona a un esempio concreto di economia circolare.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sta muovendo H&M, un colosso del fast fashion. Anche in questo caso l’invito è a riportare presso i negozi i vecchi abiti di qualunque marca, dismessi o danneggiati, che verranno riutilizzati, in prima opzione, come capi di seconda mano. In alternativa saranno trasformati in fibre tessili e usati per ricavarne stracci, materiali assorbenti o nell’industria automobilistica. In quest’ultimo caso eventuali profitti saranno donati da H&M a organizzazioni di beneficenza o per la ricerca. Anche qui la coscienza ambientale dei consumatori è aiutata da un incentivo rappresentato da buoni sconto da utilizzare per futuri acquisti.

Anche un altro colosso del fast fashion, lo spagnolo Zara, ha avviato una campagna di sensibilizzazione per la raccolta degli indumenti usati: quelli ancora in buono stato vengono donati ad associazioni senza scopo di lucro come la Caritas, mentre dagli altri si ricavano nuovi tessuti.

Clothes the Loop è invece il progetto targato The North Face, marchio Usa dell’abbigliamento sportivo. Il programma – al momento attivo solo in Francia e Regno Unito – consente di riconsegnare vecchi abiti e calzature in qualunque condizione di usura e di qualunque marca, ottenendo in cambio un buono sconto da utilizzare per i prossimi acquisti. Gli articoli recuperati – suddivisi in 400 categorie diverse in un centro di riciclaggio – vengono poi riutilizzati se possibile, oppure riciclati in materie prime impiegate in prodotti isolanti, imbottiture di moquette e giocattoli, oppure ricavandone fibre tessili per nuovi capi d’abbigliamento.