Come cambieranno le città dopo il Covid 19

L’epidemia coronavirus inizia a far riflettere sul futuro delle aree urbane

di Maria Pia Terrosi

Come ha ricordato papa Francesco nella preghiera a piazza San Pietro,in questa epidemia “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme”. Non solo perché il virus non conosce frontiere e divieti di sbarco, ma soprattutto perché – ancor più in questa circostanza – ci siamo resi conto della relazione profonda esistente tra la nostra salute, le nostre azioni  e le  condizioni ecosistemiche della barca, cioè della Terra.

Senza dubbio le città hanno fortemente contribuito alla definizione di questo scenario globale connotato da cambiamenti climatici, inquinamento, perdita di biodiversità.  Prima di tutto in termini quantitativi perché nelle aree urbane vive oggi il 55% della popolazione globale e la percentuale è destinata a salire al 68% entro il 2050. Ma anche in termini di impatti ambientali visto che le città consumano i 2/3 dell’energia e sono responsabili del 70% delle emissioni di CO2.

Per questo l’emergenza Covid19 sta imponendo a molti studiosi e urbanisti una riflessione sulla necessità di rivedere il modello stesso di città, come lo pensiamo oggi. Partendo da quello che si è dimostrato il primo elemento di grande vulnerabilità delle aree urbane alla diffusione del virus: la densità della popolazione, che senza dubbio ha facilitato i contagi.

Città, come evitare spostamenti di persone e mezzi

Occorre dunque una città meno densa. Secondo Karen Harris, amministratore delegato del Macro Trends Group della società di consulenza Bain, sono già oggi disponibili piattaforme tecnologiche, infrastrutture digitali, robotica, stampa 3D, droni di consegna, tecnologia di logistica, veicoli autonomi che permettono di  evitare molti  spostamenti di persone e mezzi, consentendo alle persone di lavorare a distanza e vivere  lontano dai tradizionali centri urbani.

Il lavoro a distanza tanto utilizzato in questa emergenza potrebbe diventare la regola, con significative conseguenze sull’immagine della città. “Sempre più aziende stanno creando sistemi che consentono al personale di lavorare da casa e sempre più lavoratori si stanno abituando. E queste sono abitudini che probabilmente resteranno anche dopo il coronavirus. Se la vicinanza al proprio lavoro non è più un fattore significativo nel decidere dove abitare, potremmo andare verso un mondo in cui i centri urbani esistenti e i “nuovi villaggi” remoti emergono in primo piano, mentre le tradizionali cinture dei pendolari svaniscono”, aggiunge Harris.

In pratica avremo città più piccole e non megalopoli con interminabili periferie dalle quali quotidianamente spostarsi per raggiungere il centro. Alcuni timidi segnali in questo senso si avvertono nelle aree metropolitane dell’emisfero nord. Secondo l’US Census Bureau le metropoli di New York, Chicago e Los Angeles hanno registrato nel 2018 un calo della popolazione, con residenti che, lavorando a distanza si sono spostati nelle città più piccole che costano meno e offrono una migliore qualità della vita.