Dall’Italia alla Germania, dalla Gran Bretagna agli Stati uniti, si moltiplicano gli studi che mostrano una forte correlazione tra inquinanti dell’aria e sviluppo della pandemia
di Goffredo Galeazzi
Sempre più studi mostrano che l’inquinamento atmosferico può contribuire ad aggravare i pazienti affetti da coronavirus. Più che “trasportare” e quindi diffondere il coronavirus responsabile della sindrome Covid-19, lo smog potrebbe avere un ruolo di “amplificatore”, potrebbe cioè peggiorare l’infiammazione causata dal virus. Ricerche che Alla Carica! mette assieme alla vigilia dell’Earth Day che domani, 22 aprile, celebra la 50° edizione.
Dall’Italia alla Germania, dalla Gran Bretagna agli Stati uniti, i ricercatori stanno dimostrando che le morti da coronavirus si sono concentrate nelle aree con alti livelli di inquinamento. Una ricerca presentata dal Guardian mostra che, analizzando 66 regioni amministrative in Italia, Spagna, Francia e Germania, il 78% delle morti per coronavirus si è verificato in sole cinque regioni, e queste sono le più inquinate. La ricerca ha esaminato i livelli di biossido di azoto e le condizioni meteorologiche che possono impedire all’aria di disperdersi. Molti studi hanno collegato l’esposizione ad alte concentrazioni di NO2 ai danni alla salute, e in particolare alle malattie polmonari, che potrebbero rendere più probabile la morte delle persone se contraggono Covid-19.
Ambiente avvelenato
“I risultati indicano che l’esposizione a lungo termine a questo inquinante potrebbe essere uno dei più importanti fattori di mortalità causati dal virus Covid-19 in queste regioni e forse in tutto il mondo”, ha affermato Yaron Ogen, della Martin Luther University di Halle- Wittenberg in Germania, che ha condotto la ricerca. “Avvelenare il nostro ambiente significa avvelenare il nostro stesso corpo e quando si verifica uno stress respiratorio cronico la sua capacità di difendersi dalle infezioni è limitata”. L’analisi è solo in grado di mostrare una forte correlazione, non un nesso causale. “È ora necessario esaminare se la presenza di una condizione infiammatoria iniziale è correlata alla risposta del sistema immunitario al coronavirus”, ha detto Ogen.
La ricerca presentata da Ogen, pubblicata sulla rivista Science of the total Environment, ha confrontato i livelli di NO2 in gennaio e febbraio in 66 regioni con decessi Covid-19 registrati fino al 19 marzo. E ha scoperto che 4.443 decessi (il 78%) avvenivano in quattro regioni del nord Italia e in una nei dintorni di Madrid in Spagna. Queste cinque regioni presentavano la peggiore combinazione di livelli di NO 2 e condizioni del flusso d’aria che impedivano la dispersione dell’inquinamento atmosferico. Ogen ha osservato che la Pianura Padana in Italia e Madrid sono circondate da montagne, il che aiuta a intrappolare l’inquinamento, così come la provincia di Hubei in Cina, dove si è sviluppata la pandemia. “Tuttavia, la mia ricerca è solo un’indicazione iniziale sulla possibilità che vi sia una correlazione tra il livello di inquinamento dell’aria, il movimento dell’aria e la gravità del decorso delle epidemie di coronavirus”, ha precisato Ogen.
Lo studio dell’università di Harvard
Un altro studio pubblicato dall’università di Harvard ha esaminato l’inquinamento da particelle fini negli Stati Uniti e ha scoperto che anche piccoli aumenti dei livelli di inquinanti negli anni precedenti la pandemia erano associati a tassi di mortalità da Covid-19 più alti. Lo studio ha evidenziato che negli Usa le zone a più alta mortalità sono le stesse in cui l’inquinamento atmosferico è maggiore. Per Annette Peters, docente di epidemiologia della Ludwig Maximilian University di Monaco, si tratta di “uno dei primi studi a dimostrazione del nostro sospetto e dell’ipotesi che la gravità dell’infezione da Covid-19 possa essere aumentata dall’inquinamento atmosferico da particolato”. La professoressa Francesca Dominici, tra gli autori del rapporto di Harvard, si augura che “ciò contribuisca a impedire il peggioramento della qualità dell’aria, in particolare quando sentiamo parlare delle autorità che cercano di allentare le norme sull’inquinamento in mezzo a questa pandemia”.
Anche un altro studio, dell’Università di Siena e dell’Università di Arhus, in Danimarca, suggerisce un legame tra alti livelli di inquinamento atmosferico e decessi Covid-19 nel nord Italia. Le regioni Lombardia ed Emilia Romagna hanno registrato un tasso di mortalità di circa il 12%, rispetto al 4,5% nel resto d’Italia. Lo studio, pubblicato su Science Direct, afferma che “l’alto livello di inquinamento nell’Italia settentrionale dovrebbe essere considerato un ulteriore co-fattore per l’alto livello di mortalità registrato in quella zona”.
Infine un documento dei ricercatori delle Agenzie regionali di protezione per l’ambiente (Arpa) di Emilia-Romagna e Marche, dell’Università Politecnica delle Marche e dell’ateneo di Bologna, sostiene che lo smog, più che diffondere il coronavirus, potrebbe peggiorare l’infiammazione causata dal virus. Pubblicato nell’archivio della rivista Epidemiologia e Prevenzione, il documento analizza gli studi fin qui disponibili sul rapporto tra inquinamento atmosferico e diffusione del Covid-19.
Smog e coronavirus sostengono infiammazione?
Secondo i ricercatori è possibile “dire che allo stato attuale delle conoscenze, le evidenze su un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del Sars-Covid-19 siano decisamente limitate e frammentarie”. E’ invece “possibile ipotizzare una interazione molecolare” tra polveri sottili e Sars-CoV-2 “che conferma la possibile azione di cofattore del particolato nel sostenere il processo di infiammazione indotto dal virus”. “L’ipotesi che vogliamo studiare è se ci sia un ‘gioco di squadra’ tra lo smog e il Sars-CoV2”, ha spiegato all’Ansa Annamaria Colacci, biologa genetista e tossicologa, responsabile per ambiente, prevenzione e salute dell’Arpa Emilia-Romagna, tra i ricercatori firmatari del report. “Studiando i meccanismi di azione di smog e coronavirus possiamo capire se lavorano entrambi nel sostenere un’infiammazione”.