Si moltiplicano marchi fashion che investono in filiere corte, materiali sostenibili, tessuti innovativi con fibre naturali, campagne per ridurre impatto ambientale e l’inquinamento, ricerca e sviluppo in chiave ecocompatibile. Scelta etica o solo marketing?
Viaggio in due puntate nell’universo moda “verde”
di Barbara Battaglia
Produce 1,2 miliardi di tonnellate l’anno di gas serra, più dei trasporti aerei e marittimi internazionali messi insieme. E per fare una t-shirt usa 3.900 litri di acqua. Sono solo alcuni dei numeri dei costi ambientali causati dall’industria dell’abbigliamento (secondo i dati rispettivamente della Ellen MacArthur Foundation 2017 e di Friends of the Earth 2015). Ma un nuovo trend va affermandosi: la moda bio e in generale la consapevolezza green esce dalla nicchia ed interessa sempre di più marchi grandi e piccoli.
Il ruolo dei brand
Ci sono brand storicamente impegnati nella salvaguardia del pianeta, spesso anche in linea col target dei loro prodotti. È il caso, ad esempio, di Patagonia: basta dare un’occhiata al sito per capire che l’attivisimo ecologista è parte del brand, che destina l’1% dei suoi introiti a progetti benefici di tipo ambientale. Ancora più marcatamente “militante” è l’account youtube del brand, dove si possono vedere veri e propri documentari green. Uno degli ultimi, sui metodi organici rigenerativi, lo scorso luglio, ha totalizzato più di un milione di visualizzazioni. Accanto all’attivismo, infatti, Patagonia sposa materiali esclusivamente ecosostenibili. Come cotone organico, poliestere riciclato, nylon proveniente da fibre di scarti post industriali, filati raccolti in aziende tessili e lana ricavata da allevamenti gestiti in modo sostenibile, fino alla canapa e al Tencel, una fibra innovativa ottenuta dalla polpa degli alberi di eucalipto.
Sono davvero tante, insomma, le aziende, dalle piccole artigianali alle quasi multinazionali, che scelgono di produrre almeno una linea green, se non di riconvertire l’intera produzione.
E i consumatori, dal canto loro, possono sempre più facilmente verificare l’impegno di chi produce i loro vestiti. Sul sito renoon.com, ad esempio, è possibile selezionare prodotti di brand sostenibili, leggendo per ogni singolo item cosa “fa” per l’ambiente chi lo realizza.
Fashion Revolution
Fashion Revolution è un movimento internazionale che promuove la moda etica e sostenibile, nato in seguito al drammatico episodio del Rana Plaza in Bangladesh, il 24 aprile 2013. Più di 1.100 persone morirono, altre 2.500 rimasero ferite. Lavoravano all’interno di uno stabilimento non a norma, che produceva abbigliamento per varie catene di moda a basso costo. Da allora, il movimento ogni anno organizza una settimana dedicata all’informazione e alla sensibilizzazione sui temi della moda sostenibile, per mettere in luce una filiera produttiva tra le più inquinanti al mondo. “Il profitto sconsiderato non può mai essere l’obiettivo”, dichiarano nel manifesto della fondazione. “Lavoriamo ritenendoci responsabili del nostro vero scopo: influenzare il cambiamento sociale e ambientale attraverso prodotti innovativi in sintonia con le esigenze del nostro pianeta e delle persone”.
Premi e passerelle
Le luci della ribalta si accendono sempre di più sulla sostenibilità. L’ambientalismo nella moda fa parlare di sé e occupa spazi sempre più istituzionali, anche patinati e di tendenza.
I Green Carpet Fashion Awards sono ad esempio gli Oscar della moda sostenibile. Un premio che dal 2017 la Camera Nazionale della Moda Italiana conferisce a stilisti, artigiani e personalità del mondo fashion che si sono mobilitati in favore della sostenibilità.
Quest’anno la manifestazione sarà digitale e in onda su Sky il prossimo sabato 10 ottobre. Due settimane prima dell’evento, le celebrities che parteciperanno al green carpet digitale condivideranno il loro guardaroba mettendo in mostra capi e look, con un appello all’azione che incentivi tutti ad assumere un ruolo attivo nella moda sostenibile.
E la moda ecocompatibile quest’anno è sbarcata anche sul red carpet per eccezione: la Mostra del Cinema di Venezia. Al Lido nei giorni della kermesse c’è stata “X-Ray Fashion“, un’installazione virtuale a cura di Francesco Carrozzini, che permetteva di seguire, in uno spazio di 49 metri quadri, la vita di un capo di abbigliamento, dalla produzione alle passerelle, dalla distribuzione al consumatore, fino a quando l’indumento verrà dismesso. Proprio nell’evento veneziano si è anche vista una tendenza glam che si afferma sempre di più: il riciclo degli abiti d’alta moda, da parte di attori ed influencer. Cate Blanchett insegna.
To be continued…