Nel Pnrr briciole per la mobilità su ferro e la rete di ricarica elettrica, scarse le immatricolazioni di autobus a zero emissioni: l’allarme delle associazioni ambientaliste
Le città, l’elettrificazione dei trasporti e la sicurezza stradale non sono una priorità per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation Eu, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19. Il documento, approvato dal Consiglio dei ministri, indica solo 7,5 miliardi di euro per la mobilità urbana e regionale, nessuna voce specifica sullo sviluppo di un’adeguata rete di ricarica elettrica nazionale ad uso pubblico nonostante i 6 milioni di veicoli elettrici previsti entro il 2030, nessun investimento per la riconversione industriale del comparto trasporti, briciole per la sicurezza stradale. Mentre si punta agli investimenti sulle grandi opere extraurbane, come l’alta velocità, scarsi risultano gli investimenti per metropolitane e tramvie, carenti gli investimenti per le ferrovie suburbane, briciole per la mobilità ciclabile.
Investimenti sulle reti
Nel dettaglio, le tre principali criticità del Pnrr a cui è necessario far fronte – dicono Kyoto Club, Transport & Environment, Legambiente, Cittadini per l’Aria, Greenpeace Italia e WWf Italia – risultano l’elettrificazione dei trasporti, le città e la mobilità urbana, gli investimenti sulle reti e la sicurezza delle persone sulle strade. Ma per la sicurezza stradale sono previsti fondi minimi, quasi inesistenti, mentre per la moderazione del traffico nelle città non c’è nemmeno un richiamo nel Pnrr.
Un focus particolare di Transport & Environment, a cui collabora anche Legambiente, è dedicato al Trasporto pubblico locale: ebbene, se si prende a riferimento la percentuale di immatricolazione di nuovi autobus a zero emissioni, l’Italia è in fondo alla classifica, con solo il 5,4% di nuovi bus entrati in servizio nel 2019 a idrogeno o elettrici, seguita solo da Grecia, Svizzera, Irlanda e Austria.
Italia in fondo alla classifica
Un dato che diventa ancora più preoccupante se si pensa che nel 2019 meno del 10% degli autobus urbani di nuova immatricolazione di Italia, Polonia, Germania, Regno Unito, Spagna e Francia – che acquistano il 70% degli autobus urbani venduti in Europa – erano elettrici o a idrogeno: la loro mancata conversione a una mobilità più sostenibile rallenta in modo significativo la diffusione di bus a emissioni zero del continente, con un impatto altissimo per l’ambiente.
Invece l’80% degli investimenti tedeschi del 2020 sono destinati ad autobus elettrici e la Polonia annuncia che nelle città con una popolazione di 100.000 o più persone tutto il trasporto pubblico sarà elettrico entro il 2030.
L’Italia dunque resta indietro. Secondo i dati Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), nel 2019 sono stati immatricolati in Italia solo 63 bus elettrici e a idrogeno: 16 in Sicilia, 15 in Lombardia, 13 in Piemonte, 10 in Liguria.
“Nel primo semestre del 2020 l’Italia ha messo in strada solo 170 nuovi bus, contro i 363 del primo semestre 2019, registrando un calo del 53% e diminuendo gli acquisti sulla mobilità pubblica in un momento in cui avere più mezzi era necessario per garantire distanziamento”, dichiara Andrea Poggio, responsabile mobilità sostenibile di Legambiente.
Una cifra davvero insufficiente
Nel Pnrr sono previsti 7,5 miliardi per gli investimenti per la mobilità di tutte le città italiane, una cifra davvero insufficiente per migliorare il trasporto locale e rinnovare il parco rotabile. “Inoltre – prosegue Poggio – in seguito all’emergenza Covid sono stati estesi i contributi pubblici per l’acquisto di nuovi autobus, anche di quelli a metano o diesel, con il risultato che compriamo meno autobus dei grandi Paesi europei e gran parte di quelli che compriamo sono ancora fortemente inquinanti”.
A guidare la classifica europea di bus a emissioni zero sono Danimarca, Lussemburgo e Paesi Bassi. Il 78% degli autobus danesi immatricolati nel 2019 è elettrico o a idrogeno, come il 67% di quelli lussemburghesi e il 66% degli olandesi. In Svezia, Norvegia e Finlandia gli autobus elettrici rappresentano rispettivamente il 26%, il 24% e il 23% degli immatricolati. In fondo alla classifica troviamo Austria e Irlanda che non hanno registrato autobus urbani a emissioni zero nel 2019.
La bozza di Recovery Plan
“È davvero incomprensibile come, con oltre 200 miliardi in arrivo dall’Europa, la bozza di Recovery Plan preveda l’acquisto di circa 5.000 nuovi autobus di cui ben 2.700 a combustibile fossile. I bus elettrici riducono l’inquinamento atmosferico, ci aiutano a combattere il cambiamento climatico, a ridurre il rumore e il costo totale d’esercizio”, afferma Veronica Aneris, direttrice per l’Italia di Transport & Environment.
Per James Nix, responsabile merci di Transport & Environment, “gli autobus urbani percorrono milioni di chilometri ogni anno. Se vogliamo decarbonizzare le nostre città, questi veicoli devono diventare privi di emissioni il prima possibile. Gli stati nordici, il Lussemburgo e i Paesi Bassi stanno dando l’esempio puntando sugli autobus elettrici. Altri Paesi, in particolare quelli che acquistano molti autobus, come Italia, Spagna e Francia, e Austria, devono intensificare il passaggio a autobus a zero emissioni”.
Cinque passaggi chiave
Transport & Environment pubblica, inoltre, un report che identifica cinque passaggi chiave per implementare la percentuale di autobus elettrici su strada, a partire dalla leadership politica e dal sostegno finanziario. Il dossier, che prende in esame 13 casi studio, vuole fornire una guida ai Comuni e agli operatori che intendono investire sugli e-bus. I casi studio italiani riguardano alcune città piemontesi (Asti, Cuneo, Alessandria e Torino) e la città di Milano. Torino e Milano, infatti, sono due delle quattro città italiane (insieme a Cagliari e Bergamo) che prevedono un trasporto pubblico locale a emissioni zero entro il 2030.