Suolo nelle città

L’Italia rischia di perdere altri 150.000 ettari di suolo

Solo Milano, Bologna e Parma migliorano il consumo di suolo pro capite. Il rapporto del Politecnico di Milano

Centocinquantamila ettari di territorio italiano agricolo o naturale, se non s’inverte la rotta, entro il 2050 saranno coperti di asfalto e cemento, e la maggior parte sarà al Nord. Sono le stime del rapporto 2022 “Consumo di suolo, servizi, ecosistemi e green infrastructures” realizzato dal Dipartimento di architettura e studi urbani del Politecnico di Milano, Legambiente e Istituto nazionale di urbanistica.

“Per poter pianificare il territorio in modo consapevole occorre che sia i decisori politici sia i tecnici e i professionisti acquisiscano competenze e strumenti conoscitivi e gestionali necessari a valutare i fenomeni in atto e gli impatti a medio e lungo termine delle scelte di sviluppo territoriale previste – ha commentato Andrea Arcidiacono, docente e coordinatore del team del dipartimento di Architettura e studi urbani – e in questo senso è andato lo sforzo sviluppato in questi anni dal progetto Soil4life”.

L’attuale edizione del rapporto restituisce infatti anche gli esiti di Soil4Life, un progetto durato quattro anni, di cui è stata capofila la Legambiente, e che ha visto la collaborazione di un ampio partenariato, che ha coinvolto tra gli altri, il Politecnico, Ispra e Crea e l’ente lombardo Ersaf, insieme all’organizzazione agricola Cia, per divulgare e soprattutto formare agricoltori, amministratori pubblici, tecnici e operatori nelle materie che si confrontano con le problematiche di conservazione e gestione della salute del suolo.

Dopo la fine dell’ondata speculativa dei primi anni 2000, nell’ultimo decennio i trend di crescita delle superfici urbanizzate, analizzate a livello nazionale da Ispra, non mostrano segni di riduzione: nel 2020 ad esempio sono stati consumati 5.175 ettari di suolo. Di questo passo, da qui al 2050, l’Italia rischia di perdere definitivamente, cedendoli all’urbanizzazione, appunto 150.000 ettari agricoli, per la metà nel nord del Paese: per avere un termine di confronto, si tratta di una superficie che potrebbe essere sufficiente a generare un terzo della produzione nazionale di mais.

Né va meglio se si considerano le città. Milano, Bologna e Parma sono le uniche tre città sopra i 200 mila abitanti a migliorare il consumo di suolo pro capite per cittadino residente. In questi anni ogni milanese ha recuperato 2 mq di suolo consumato. In fondo alla classifica troviamo Venezia, seguita da Messina, Catania, Firenze, Bari, Padova, Torino, Verona, Genova, Palermo, Napoli e Roma.

“Nonostante il rallentamento delle tendenze espansive dei decenni passati – evidenzia il rapporto dell’ateneo – l’Italia non è sulla buona strada”. Anche considerando le città con meno di 200 mila abitanti non c’è alcuna correlazione fra crescita degli abitanti e aumento del suolo consumato. “Anzi – si legge – tutte le città che guidano la classifica per quanto riguarda la crescita di consumo di suolo nel quinquennio (al primo posto Roma seguita da Catania, Ravenna, Venezia, Verona e Foggia) hanno un bilancio demografico negativo”.


Le città in cui l’incremento di suolo consumato pro capite è maggiore sono Enna con +33 mq per abitante, Brindisi (+32), Agrigento (+27), Caltanisetta (+22), Ascoli Piceno (+20,1). All’estremo opposto ci sono invece le città definite virtuose, che vedono incrementi demografici della propria popolazione ma non associati a consumo di suolo e vedono quindi diminuire l’indice di suolo urbanizzato: è il caso di Parma dove il dato di efficienza migliora di 6 mq per abitante, Trento (4 mq per abitante), Milano, Pesaro e Bologna con 2 mq di diminuzione pro capite.

L’osservato speciale del rapporto è il fenomeno della logistica, che consuma enormi quantità di aree da destinare a infrastrutture di mobilità e a nuove superfici produttive, con elevati livelli di occupazione e impermeabilizzazione del suolo. Un comparto industriale che sta conoscendo, in tutta Europa, una fase di crescita tumultuosa anche a causa dell’evoluzione dei comportamenti di acquisto da parte dei consumatori, sempre più propensi a utilizzare le piattaforme dell’e-commerce. È proprio alla logistica che il rapporto del 2022 dedica uno specifico approfondimento, con affondi sulle aree del Nord Italia laddove si concentra oltre il 70% di questo comparto nella sua componente immobiliare, con una fortissima polarizzazione sulla “regione logistica” che gravita su Milano, lungo le direttrici autostradali e ferroviarie di connessione con i valichi e i porti liguri e adriatici.

I territori che si prestano alla trasformazione edilizia a servizio del settore logistico finiscono per essere quelli ad uso agricolo (in Lombardia, il 79% delle aree trasformate sono terreni a seminativo o prato), amministrati da piccoli Comuni (l’83% dei poli logistici, sempre in Lombardia, grava su Comuni con meno di 10.000 abitanti), in ambiti rurali con buone connessioni ai corridoi infrastrutturali.

“Nonostante la tensione alla sostenibilità, utile per accedere ai finanziamenti Pnrr, il settore immobiliare logistico procede con dinamiche simili a quelli che hanno generato le bolle speculative del passato: la negoziazione al ribasso con amministrazioni locali piccole e vulnerabili serve a portare rapidamente a buon fine investimenti i cui costi reali non sono contabilizzati, perché vengono scaricati sul territorio, principalmente come costi del consumo di suolo – ha dichiarato Massimiliano Innocenti di Inu – mai come in questi anni pesa l’assenza di un livello di governo sovralocale, che assista i sindaci nel negoziato con operatori economici multinazionali e che stabilisca meccanismi e regole atte a orientare le scelte localizzative escludendo nuove perdite di suolo agricolo”.

“Servono regole per arginare il consumo di suolo; in Italia le norme continuano ad essere insufficienti, ed altrettanto dicasi per le politiche e i piani: la proposta di legge nazionale è ancora ferma ai blocchi di partenza dopo un decennio di dibattiti parlamentari”, ha commentato Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente. “Anche in Europa manca ancora una direttiva comunitaria, per quanto tuttavia si sia messa in moto, nel solco del Green Deal lanciato dalla Commissione a guida Von Der Leyen, la nuova strategia tematica sul suolo che, salvo imprevisti legati alla situazione geopolitica, dovrebbe dare i natali, entro la scadenza di mandato, alla Direttiva europea per la Salute del suolo”.