Marmolada

Tra 15 anni addio al ghiacciaio della Marmolada

Allarmante il quado che emerge dalla Carovana dei Ghiacciai organizzata da Legambiente

Tra 15 anni il ghiacciaio della Marmolada potrebbe scomparire completamente. E’ il simbolo di una crisi climatica che morde in maniera sempre più evidente. La fotografia che emerge dalla terza edizione della Carovana dei Ghiacciai organizzata da Legambiente non lascia dubbi: i ghiacciai dell’intero arco alpino sono a rischio, in piena emorragia. A testimoniarlo è lo stato di salute di alcuni ghiacciai alpini già monitorati due anni fa su cui tornata la campagna itinerante di Legambiente con la partnership scientifica del Comitato glaciologico italiano.

Come quelli del Monte Bianco: il Miage, l’”himalayano” della Valle D’Aosta che in 14 anni ha perso circa un volume equivalente a tre volte l’idroscalo di Milano, e il Pré de Bar, che dal 1990 a oggi ha registrato mediamente 18 metri di arretramento lineare l’anno. Stessa sorte per il Monte Rosa con il ghiacciaio di Indren che, in due anni, ha registrato un arretramento frontale di 64 metri, 40 solo nell’ultimo anno, dato mai registrato negli ultimi cinquant’anni anni e fortemente preoccupante per un ghiacciaio al di sopra dei 3.000 metri di quota.

E ancora il Ghiacciaio dei Forni, in Lombardia: è il secondo gigante italiano (dopo l’Adamello) e, nell’ultimo anno, ha registrato un arretramento di più di 40 metri lineari, per un totale di circa 400 metri negli ultimi dieci anni. E la Marmolada, la regina delle Dolomiti, teatro della tragedia dello scorso 3 luglio, che il monitoraggio scientifico ha voluto osservare da lontano, facendo un passo indietro: lo scenario è quello di un ghiacciaio che tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto: ha registrato nell’ultimo secolo una perdita di più del 70% in superficie e di oltre il 90% in volume.

 Infine, il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, in Friuli-Venezia Giulia, unica eccezione osservata sulle Alpi. Il Montasio è infatti un esempio di ghiacciaio piccolo ma resistente che, pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% circa e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato, in controtendenza rispetto agli altri ghiacciai alpini.

“Quello che abbiamo osservato e i dati che abbiamo raccolto durante questo viaggio per monitorare lo stato di salute del nostro arco alpino”, ha dichiarato Marco Giardino, vicepresidente del Comitato glaciologico italiano, “è molto preoccupante, non solo dal punto di vista scientifico. Abbiamo messo i piedi sui ghiacciai, osservando i crepacci che aumentano, le fronti che arretrano, il loro ingrigimento e i crescenti rivoli d’acqua di fusione che scorrono sulla loro superficie. Abbiamo confrontato queste evidenze con fotografie e carte storiche. Ne abbiamo ricavato dati quantitativi indispensabili per interpretare gli effetti locali del riscaldamento climatico in atto e comprendere quali scenari futuri si attendono per l’ambiente d’alta quota e quali saranno le conseguenze sul paesaggio e sulle risorse del nostro paese”.