Tra domotica, applicazioni per smartphone e gadget tecnologici, le offerte di servizi si sprecano. Ma ne abbiamo veramente bisogno? E riusciamo a proteggere i dati?
di Barbara Battaglia
C’è Alexa che dice le barzellette, Siri che accende la macchina del caffè, Google che abbassa le luci. La casa del futuro è già qui. Ma abbiamo davvero bisogno di tutte queste funzionalità, all’interno delle pareti domestiche? La diffusione dello smartworking da lockdown potrebbe aumentare questa tendenza. Secondo l’Istat, infatti, (report del 15 giugno scorso) il telelavoro ha coinvolto quasi un quarto delle imprese italiane: è stato introdotto o esteso dal 18,3% delle microimprese (3-9 addetti), dal 37,2% delle piccole (10-49 addetti) ed è la misura più diffusa tra le aziende di dimensione media (50-249 addetti) e grande (250 addetti e oltre) che l’hanno adottata nel 73,1% e nel 90% dei casi.
Cresce insomma il tempo trascorso tra le pareti domestiche. E, tra assistenti digitali e app, ogni giorno la domotica si arricchisce di nuovi prodotti.
L’internet delle cose
Più si diffondono e si amplia il numero di smart devices, cioè oggetti elettronici intelligenti, più aumenta la necessità di farli interagire l’uno con l’altro, tramite l’Internet of Things (IoT).
Proprio secondo i dati dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, riportati dal Sole 24 ore, nel 2018 il mercato della smart home è cresciuto in Italia del 52%. Negli Stati Uniti vale già 13,9 miliardi di euro e presenta un trend positivo, in sostanza, con aumenti percentuali a due cifre, in tutta Europa.
L’utilità di avere una casa sempre più smart sarebbe almeno in teoria quella di facilitarci la vita. Risparmiare tempo, energia e tagliare i consumi – cioè soldi – nei nostri appartamenti. Obiettivi ovviamente condivisibili e auspicabili. Ma non alla portata di tutti, visti i costi. E, talvolta, anche dal dubbio valore tecnologico reale. Qualche esempio? Si va dalle tapparelle intelligenti, che si possono abbassare anche da remoto (ma ricordarsi di chiuderle è così complicato?), alla lavatrice che segnala quando finisce il detersivo, come fosse il toner nella stampante, fino alle ciotole automatiche per gatti e cani. La stazione meteo per diventare provetti Giuliacci senza muoversi dal divano, termometri istantanei che si connettono via bluetooth allo smartphone, casse audio intelligenti per ascoltare musica in tutte le stanze (posto che ci sia la necessità di avere un sottofondo di note dal garage al corridoio).
Agli animali domestici è riservata una larga parte delle più recenti trovate: dispenser per i croccantini che ne monitorano anche il peso, app tramite cui i proprietari dei pets possono parlare a distanza coi loro cuccioli e controllarli via video…
Maniaci del controllo
E il controllo è proprio uno degli ambiti più in voga tra gli appassionati di tecnologia a casa. Sistemi di sorveglianza sempre più sofisticati e capillari per monitorare la cameretta dei bambini, il garage, le porte e gli accessi degli appartamenti.
Ma l’uso delle telecamere può anche diventare un eccesso. Nel 2018 si è svolto il primo processo legato all’abuso di IoT: un uomo è stato dichiarato colpevole per aver intercettato la moglie attraverso il microfono su un tablet montato a parete utilizzato per controllare il riscaldamento e le luci della loro casa (ne parla qui la Bbc).
Fenomeni criminali come lo stalking, insomma, possono trovare nelle nuove tecnologie applicate all’ambiente domestico terreno fertile per crescere. Soprattutto ai danni di donne e minori. Ma senza pensare al peggio e a reati penali, è comunque un problema quello di avere tanti apparecchi che possano vedere e sentire tutto ciò che succede in casa.
Un altro nodo è quello della sicurezza sì, ma non della casa, quanto dei dati. Le informazioni inserite e gestite dai vari devices, spesso anche personali e sensibili, vanno gestite: una mole di dati che pone indubbiamente qualche interrogativo in termini di privacy. Come denunciato anche in un articolo del Guardian, il 59% degli utenti di smart speaker segnala problemi di privacy, appunto, con episodi di ascolto indesiderato da parte dei devices e raccolta dei dati non richiesta. Episodi piuttosto inquietanti, denunciati sempre dalla testata inglese, riguarderebbero poi anche possibili condivisioni – non autorizzate esplicitamente dagli utenti – dei dati raccolti attraverso le telecamere di sorveglianza a colossi del web tipo Facebook e Google. Who watches the watchmen? Chi controllerà i controllori? Perchè si fa presto a passare da una “casa dolce casa” a un luogo in cui i nostri dati, le nostre abitudini, i fatti nostri insomma, rischiano di diventare una merce appetibile per i cyber ladri.