Nelle audizioni parlamentari sul Pnrr le richieste puntano su semplificazioni e investimenti
Nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha impresso una svolta decisa sul Recovery Plan. Oltre all’istituzione del ministero della Transizione ecologica, il governo intende rafforzare la dimensione strategica del Programma focalizzando l’attenzione sulle fonti rinnovabili, sull’inquinamento dell’aria e delle acque, sulla mobilità elettrica e sull’idrogeno.
Particolare attenzione è stata dedicata alla questione ambientale, chiarendo che “il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute”. Infatti, “proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane”.
A smontare il Pnrr del governo Conte II avevano già pensato sia la Banca d’Italia che la Corte dei conti nel corso delle audizioni parlamentari sul Pnrr. Per Banca d’Italia “il documento non presenta ancora una puntuale quantificazione del contributo di ciascun progetto alla spesa destinata alla transizione verde e a quella digitale”. Quanto all’energia, i magistrati contabili sottolineano che “il Piano indica gli obiettivi di fondo delle linee progettuali, senza tuttavia fornire specifici elementi descrittivi di dettaglio, né individuare le risorse finanziarie agli stessi associate”.
Inoltre vengono preannunciati “interventi normativi di semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti rinnovabili e la definizione del nuovo quadro giuridico per sostenere la produzione da fonti rinnovabili innovative, ma non vengono, tuttavia, forniti elementi di ulteriore dettaglio sulle misure concrete con le quali si intende dare attuazione a tali obiettivi”. Mentre proprio “la definizione di un quadro regolamentare” per rimuovere gli ostacoli e semplificare la realizzazione degli impianti rappresenta “un elemento essenziale, in grado di condizionare l’attuazione dei progetti”.
Sulla semplificazione delle procedure hanno insistito anche, sempre nel corso delle audizioni, i rappresentanti del mondo elettrico e la Legambiente. Per il responsabile Affari istituzionali di Enel Fabrizio Iaccarino, “il Pnrr dovrà essere accompagnato da una complessiva azione legislativa di semplificazione normativa, amministrativa e procedurale, in particolare nel permitting, e da un’attenta azione istituzionale ed amministrativa nella proposizione e realizzazione dei progetti, in particolare rispetto alle condizioni imposte dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato e di rendicontazione dei progetti”.
Per il presidente di Legambiente Stefano Ciafani “il nostro Paese ha bisogno di maggiore semplificazione negli iter autorizzativi oltre a una riforma fiscale che tolga i 19 miliardi di euro che ogni anno diamo a petrolio, gas e carbone. Bisogna inoltre migliorare i controlli ambientali e formare la pubblica amministrazione, che spesso si trova ad autorizzare impianti che magari non conosce. Infine serve una legge sul dibattito pubblico per condividere con i territori la realizzazione di opere necessarie”.
Più critico il presidente di Anev Simone Togni, secondo cui la gran parte dello sforzo del Pnrr sarebbe stato indirizzato “a pochi grandi player del settore energetico”, dando “per scontato che il settore delle fonti rinnovabili e in particolare dell’eolico, possa procedere senza ulteriori meccanismi di sostegno e supporto”. Togni ha quindi chiesto “una forte azione di semplificazione autorizzativa con l’emanazione di veri e propri decreti attuativi”, oltre all’istituzione urgente di un “tavolo di confronto con le istituzioni per l’individuazione delle attività soggette ad autorizzazione”.
Numerose le criticità del Pnrr indicate dal presidente di Elettricità Futura Agostino Re Rebaudengo. La prima modifica da fare “è sicuramente una maggiore destinazione dei fondi della transizione ecologica in linea con le indicazioni della Commissione europea, che prevedono di indirizzarne a questo scopo almeno il 37%”.
Andrebbe poi rivisto il Piano nazionale integrato energia e clima, documento redatto nel 2019 che non tiene conto del Green Deal. Adeguando quindi il target di riduzione delle emissioni di CO2 dal 40 al 55%, innalzando l’obiettivo di consumi elettrici rinnovabili dal 55 al 70% e aumentando la quota di rinnovabili sulla domanda di energia dal 30 al 40%.
Infine, segnala Re Rebaudengo, “una delle lacune più preoccupanti nell’attuale Pnrr è l’assenza di misure di semplificazione delle procedure autorizzative. L’eccesso di burocrazia nella fase di permitting è il principale ostacolo alla transizione energetica, con tempistiche che superano i 5 anni per l’eolico laddove la Direttiva europea in materia prevede che l’iter autorizzativo non superi un anno, solo in casi eccezionali due”.
Controverso il ruolo che l’idrogeno può giocare nella decarbonizzazione del sistema energetico. Il presidente di H2it (Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile) Alberto Dossi ha giudicato favorevolmente il ruolo attribuito all’idrogeno, che “è ricompreso in tre delle sei mission progettuali” del Pnrr. “Per supportare la produzione di idrogeno verde sarà necessaria la semplificazioni degli iter autorizzativi, il supporto all’industria degli elettrolizzatori ed azioni in ambito regolatorio”.
Anche i rappresentanti di Snam hanno insistito sul tema dell’idrogeno, sottolineando di aver “identificato progettualità coerenti con il Pnrr per circa 1 mld di euro”. Tra le possibili iniziative realizzabili con queste risorse, hanno citato la creazione di un’Hydrogen Valley, la mobilità ferroviaria, le stazioni di rifornimento per i trasporti su gomma e gli interventi nei settori energy intensive in cui è difficile l’elettrificazione.
Di diverso avviso il segretario generale di Motus-E Dino Marcozzi, secondo cui bisogna redistribuire le risorse del Pnrr nel campo della mobilità sostenibile puntando di più sull’elettrico e non sull’idrogeno che non è ancora maturo. “Si è puntato su cose irrealizzabili nei tempi previsti dal Piano, che fa riferimento a investimenti da finanziare entro il 2026. Non possiamo quindi giocare con tecnologie fantascientifiche o non efficienti, come l’idrogeno nel trasporto su strada”.
Secondo Marcozzi il Pnrr è carente anche sul fronte delle infrastrutture di ricarica. “Se ne parla solo in alcuni punti che riguardano le infrastrutture sulle pompe di benzina. L’auto elettrica non si ricarica quando serve, ma mentre si fanno altre cose come lavorare o riposare. Non è detto quindi che debba avere le infrastrutture solo nelle pompe di benzina”. Quanto all’idrogeno, “è importante come vettore, quando è verde e impiegato per le industrie o per i mezzi che non possono essere alimentati in modalità alternativa”.
Sul tema dell’idrogeno è intervenuto anche il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini, concentrandosi sul trasporto ferroviario: “L’utilizzo dell’idrogeno può essere una sperimentazione. Non ha senso farlo su più linee, fare addirittura sette depositi e comprare ventuno treni, perché l’idrogeno non è pronto e non sarebbe green. Piuttosto compriamo treni che sono pronti e servono ai pendolari e facciamo la sperimentazione su una linea, risparmiando”.